15 maggio 2010

tutti al voto ma non solo

Domani si vota per le Elezioni comunali 2010 e l'invito, naturalmente, è quello di andare a votare ed esprimere il proprio voto!
Ma ricordiamoci che i tempi sono cambiati e non ci si può fermare al solo voto...
La scomparsa dei vecchi riferimenti, il crollo dei modelli, la disgregazione dei grandi ideologemi della modernità, l’onnipotenza di un sistema di mercato che dà (eventualmente) dei mezzi di sussistenza ma non delle ragioni di vita, riportano alla ribalta la questione cruciale del senso della presenza umana nel mondo, del senso dell’esistenza umana e collettiva, e questo, in un momento in cui l’economia produce sempre più beni e servizi con sempre meno lavoro e uomini, il che provoca un moltiplicarsi delle esclusioni in un contesto già fortemente segnato dalla disoccupazione, dalla precarietà dell’impiego, dalla paura del futuro, dall’insicurezza, dall’aggressività reazionale e da frustrazioni di ogni genere.
Tutti questi fattori rendono necessario un rimaneggiamento in profondità delle pratiche democratiche che può verificarsi solo in direzione di una vera democrazia partecipativa.
In una società che tende a divenire sempre più “indecifrabile”, tale democrazia ha in effetti come principale vantaggio quello di eliminare o di correggere gli squilibri dovuti alla rappresentanza, di
assicurare una migliore conformità della legge alla volontà generale e di essere fondatrice di una legittimità senza la quale la legalità istituzionale non è che mero simulacro.
Non è al livello delle grandi istituzioni collettive (partiti, sindacati, chiese, esercito, scuola, ecc.) attualmente entrate tutte, più o meno, in crisi, e che quindi non possono avere più il loro ruolo
tradizionale di integrazione e intermediazione sociale, che è possibile ricreare una simile cittadinanza attiva. Anche il controllo del potere non può più essere solo appannaggio di partiti
politici la cui attività si limita troppo spesso al clientelismo.
Oggi la democrazia partecipativa non
può essere che una democrazia di base.
Questa democrazia di base non ha come scopo quello di generalizzare la discussione a tutti i livelli, ma piuttosto di determinare, con il concorso del maggior numero possibile di persone, nuove procedure di decisione conformi alle sue proprie esigenze così come a quelle che derivano dalle aspirazioni dei cittadini. Essa non può neppure ridursi alla semplice opposizione tra “società civile” e sfera pubblica, la qual cosa significherebbe espandere ulteriormente l’influenza del privato e lasciare l’iniziativa politica a forme di potere obsolete. Si tratta, al contrario, di permettere agli individui di cimentarsi come cittadini e non come membri delle sfera privata, favorendo per quanto possibile il fiorire e il moltiplicarsi di nuovi spazi pubblici di iniziativa e di responsabilità.
La procedura referendaria non è che una delle tante forme di democrazia diretta – di cui, del resto, si è forse sopravvalutata la portata. Bisogna sottolineare ancora una volta che il principio politico della democrazia non è che sia la maggioranza a decidere, ma che il popolo sia sovrano. Lo stesso voto non è che un semplice mezzo tecnico di consultazione e manifestazione dell’opinione pubblica.
Questo significa che la democrazia è un principio politico che non può confondersi con i mezzi di cui si avvale, così come non può ridursi ad una idea puramente aritmetica e quantitativa.
La qualità di cittadino non si esaurisce con il voto.
Essa consiste piuttosto nell’individuare tutti i metodi che permettano di manifestare o rifiutare il consenso, di esprimere un rifiuto o un assenso.
E’ necessario quindi esplorare sistematicamente tutte le forme possibili di partecipazione attiva alla vita pubblica, che sono anche forme di responsabilità e autonomia personale, poiché la vita pubblica condiziona l’esistenza quotidiana di tutti.

Ma la democrazia partecipativa non ha soltanto una portata politica. Ha anche una portata sociale.
Favorendo i rapporti di reciprocità, permettendo il ricrearsi di un legame sociale, può aiutare a ricostituire solidarietà organiche oggi indebolite, a ricucire un tessuto sociale disgregato dall’ascesa dell’individualismo e della sua irruzione nel sistema della concorrenza e dell’interesse. In qualità di produttrice di socialità elementare, la democrazia partecipativa procede allora di pari passo con la rinascita delle comunità attive, la ricostituzione delle solidarietà di vicinato, di quartiere, dei luoghi di lavoro, ecc. ecc.
Questa concezione partecipativa della democrazia si oppone con forza alla legittimazione liberale dell’apatia politica, che incoraggia indirettamente l’astensione e porta al predominio dei gestori,degli esperti e dei tecnici.
La democrazia, in fin dei conti, non poggia tanto sulla forma di governo propriamente detta quanto sulla partecipazione del popolo alla vita pubblica, di modo che il massimo di democrazia si confonda con il massimo di partecipazione.
”Partecipare”, vuol dire prendere parte, vuol dire provare ad essere parte di un insieme o di un tutto ed assumere il ruolo attivo che deriva da questa appartenenza. ”La partecipazione, diceva René Capitant, è l’atto individuale del cittadino che agisce come membro della collettività popolare”. Il che dice bene quanto le nozioni di appartenenza, di cittadinanza e di democrazia siano collegate.
La partecipazione sancisce la cittadinanza, che deriva dall’appartenenza. L’appartenenza giustifica la cittadinanza, che permette la partecipazione.

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